“La ragazza del convenience store” è Aspie?

In questo articolo parlerò dell’Asperger in maniera insolita, utilizzando delle ipotesi per analizzare e descrivere i comportamenti ipoteticamente aspie della protagonista del romanzo di Murata Sayaka “La ragazza del convenience storeKeiko Furukura, una trentaseienne giapponese single e dai suoi comportamenti strani che lavora part-time in un konbini (abbreviazione giapponese del termine convenience store, una tipologia di minimarket aperto 24/7 presente in molti paesi del mondo) da diciott’anni, inizialmente per provare a conformarsi alla società giapponese.

La sindrome di Asperger in poche parole

Nonostante questo sia un blog dedicato a noi Aspie, riassumo per chi non fosse a conoscenza di questo mondo senza essere particolarmente tecnica.

La sindrome di Asperger fa parte dei disturbi dello spettro autistico ma a differenza dell’autismo, l’Asperger non comporta alcun deficit del linguaggio e dell’intelligenza razionale ed emotiva. Le caratteristiche principali e comuni a tutte le persone Asperger sono tre:

  • deficit di socializzazione
  • deficit di relazione
  • interessi esclusivi e ripetitivi

A quelle principali si aggiungono diverse caratteristiche che variano da individuo a individuo, come ad esempio: ipo/iper-sensorialità, ipo/iper-sensibilità ai cinque sensi, difficoltà motorie, disturbi d’ansia, ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività), ecc…

Analisi dei comportamenti di Keiko Furukura

Malgrado ci siano stati, a partire da 1940, enormi progressi nella diagnosi dei disturbi dello spettro autistico, ancora oggi non tutte le persone vengono riconosciute e diagnosticate, specialmente nei paesi con una cultura diversa da quella occidentale, nei quali la conoscenza e il riconoscimento dell’autismo e delle persone che ne sono affette sono scarse o addirittura assenti.

Il Giappone ne è un perfetto esempio, nel quale molto spesso le disabilità sono invisibili alla società e i disabili diagnosticati, per evitare di essere discriminati ed emarginati dai pari, sono costretti a frequentare delle “scuole speciali” apposite per la loro disabilità (come si può notare nella dura vita della studentessa sordomuta Shoko Nishimiya, del film “La forma della voce“, costretta a frequentare una scuola speciale dopo aver subito da bambina il bullismo per la sua disabilità).

Questa è la locandina del film che è stato trasmesso al cinema in passato e che l’ho guardato con molto piacere. Ora è disponibile su Netflix. (Credit: http://www.tradurreilgiappone.com/2017/10/17/giappone-al-cinema-la-forma-della-voce/)

Nel caso della storia di Keiko Furukura per i suoi comportamenti strani, rispetto ai canoni della società giapponese che ha fin dall’infanzia, darà diversi problemi ai suoi genitori e alle altre persone attorno a lei:

“Ecco un esempio che risale a quando andavo all’asilo. Un giorno al parco trovammo un uccellino morto. […] I bambini radunati intorno erano tristi, piangevano. <<Che cosa facciamo?>> chiese una bimba, tra un singhiozzo e l’altro. Allora mi chinai, presi senza indugio il passerotto e lo portai alla mamme sedute a chiacchierare sulle panchine lì vicino. <<Che succede, Keiko? Che cos’hai in mano? Ah, un uccellino! Chissà da dove veniva, poverino. Vuoi che lo seppelliamo?>> mi chiese con voce dolce mia madre, accarezzandomi la testa. <<Potremmo mangiarlo!>> le risposi io decisa, dopo averci pensato un attimo. <<Eh? Cosa?>> <<Papà adora gli yakitori (spiedini di pollo alla brace n.d.r.), no? Potremmo farlo arrosto e mangiarlo stasera>>. […] <<Keiko, sei impazzita?>> gridò mia madre, in tono di rimprovero. <<È nostro dovere seppellire questo uccellino. Guarda, le tue amichette stanno piangendo. È una cosa triste quando muore qualcuno, questo povero passerotto non ti fa pena?>>. <<Mica tanto… Ormai è morto, no?>>. Quella risposta lasciò mia madre senza parole. […] Perché bisognava darsi pena di seppellire quell’uccellino anziché mangiarlo? Non riuscivo a capire, mi pareva tutto così assurdo. <<Non vedi com’è piccolo e carino?>> insisté mia madre. <<Gli faremo una tomba tutta sua, laggiù, e raccoglieremo tanti bei fiori per lui>>. Alla fine mi lasciai convincere, anche se continuavo a non capirci niente. Tutti provavano compassione e piangevano la morte di quel piccolo uccello come fosse il loro migliore amico, ma non si facevano scrupolo a massacrare dei poveri fiori strappandoli brutalmente da terra. […] Ai miei occhi era una scena a dir poco grottesca, erano matti o cosa?”
“La ragazza del convenience store” – Murata Sayaka

Per evitare di far creare problemi alla sua famiglia con i suoi comportamenti strani, cercherà di adattarsi come meglio può alle regole sociali e si chiuderà in se stessa, atteggiamenti che conserverà fino all’età adulta. Ma per la società giapponese, anche questo suo mutismo viene considerato anomalo:

“A scuola ero una ragazzina solitaria, non avevo neanche l’ombra di un’amica, ma per fortuna non sono mai stata vittima di bullismo. Me ne stavo sulle le mie senza dare sfogo alla mia stravaganza ed evitando di condividere le mie idee con anima viva. In questo modo gli anni delle elementari e delle medie trascorsero senza gravi problemi. Alla fine del liceo, al momento dell’ingresso all’università, la mia strategia non era cambiata neanche di una virgola. Passavo la maggior parte del tempo da sola e scambiavo due parole con gli altri molto di rado, solo se era strettamente necessario. All’epoca dell’asilo e dei primi anni delle elementari i miei erano in pena perché ne combinavo una dopo l’altra; in seguito, invece, iniziarono a temere che non sarei stata in grado di farmi strada nella società. Mi avvicinavo all’età adulta, all’ora della verità, e continuavo a ripetermi che dovevo guarire a tutti i costi.”
“La ragazza del convenience store” – Murata Sayaka

Tuttavia lo spettro autistico non viene neppure citato e, se non lo si conoscesse almeno sommariamente, uno non potrebbe associare Keiko all’autismo. Inoltre, nella storia non si parla affatto di una sua diagnosi, ma soltanto che lei debba guarire da una presunta “malattia” di cui nessuno sa esattamente di cosa si tratta (loro considerano una “malattia” le sue anomalie comportamentali rispetto agli standard sociali giapponesi), nonostante i suoi genitori la portino da uno specialista:

“Mio padre e mia madre mi volevano bene e si preoccupavano molto per me. <<Cosa possiamo fare per correggerla?>> si domandavano l’un l’altra, come fosse un ritornello. Ci pensavo di continuo e mi dicevo che dovevo” fare il possibile per accontentarli e guarire, anche se come al solito non avevo le idee molto chiare. Una volta mio padre si prese la briga di portarmi in auto in una città lontana per farmi visitare da uno specialista.”
“La ragazza del convenience store” – Murata Sayaka

“(dialogo tra Keiko e sua sorella n.d.r.)[…]<<Keiko, ti prego, lascia che ti accompagni dallo psicologo. Non capisci che ne hai bisogno?>> <<No, mi dispiace, ci sono già stata da piccola e non è servito a niente. E poi a dirtela tutta non ho neanche capito se e da cosa devo guarire>>.[…]”
“La ragazza del convenience store” – Murata Sayaka

“(si riferisce ai suoi ex compagni di liceo n.d.r.) Mi hanno lasciata in disparte e mi osservano da lontano, come ai tempi della scuola elementare. Percepisco i loro sguardi su di me, mi scrutano come fossi una bestia rara. Non è cambiato niente, sono ridiventata “l’intrusa”. […] In questo piccolo mondo che si regge sulla normalità gli elementi estranei devono essere eliminati, uno dopo l’altro, in silenzio. Le presenze anomale vanno scartate. Ecco perché devo guarire. Altrimenti sarò allontanata dalla grande tribù delle persone “normali”. Finalmente capisco perché i miei genitori si disperavano e continuano a disperarsi per me.”
“La ragazza del convenience store” – Murata Sayaka

Perciò le mie analisi sulla protagonista saranno basate sulle supposizioni tra i suoi comportamenti e alcune delle caratteristiche tipiche del disturbo dello spettro autistico, o precisamente della sindrome di Asperger. I comportamenti presumibilmente asperger sono cinque:

1) Difficoltà alle abilità sociali/anticonvenzionale

La vita di Keiko è costellata di momenti, tra quelli “paradisiaci” lavorando (o vivendo, secondo il suo punto di vista) al konbini e quelli in cui deve svincolarsi dalle pressioni sociali sia da parte dei suoi amici, sia da parte dei suoi colleghi e sia da parte dei suoi familiari, che, attraverso sua sorella, si cerca delle scuse per giustificarsi alle sue “anomalie sociali” di fronte ad amici e colleghi, intuendo che per lei sono situazioni sociali difficili da affrontare senza l’aiuto della sorella che s’inventa le scuse per lei:

“<<Non dirmi che lavori anocra in quel konbini?>>[…] <<E invece sì, ci lavoro tuttora>> Yukari appare spiazzata, non se lo aspettava. <<Sono cagionevole di salute>> mi affretto ad aggiungere, <<perciò preferisco un lavoretto part-time>>. È un semplice pretesto di cui mi servo per zittire le mie ex compagne di classe. Ai colleghi del konbini racconto dei miei genitori sono malati e hanno bisogno di continua assistenza. È stata mia sorella a inventarsi queste scuse per me. Quando avevo vent’anni o poco più non ne avevo bisogno, perché a quell’età non è affatto strano fare lavoretti part-time, ma poi mi sono ritrovata a essere l’unica de gruppo a non avere uno status sociale sufficientemente solido, senza un vero lavoro né un marito. Sulla mia presunta “fragilità fisica” nessuno ha mai battuto ciglio, ma sono convinta che tutti o quasi sentano puzza di bruciato, visto che sanno benissimo che passo la maggior parte delle mie giornate a lavorare in piedi.”
“La ragazza del convenience store” – Murata Sayaka

Inoltre, si posso notare diversi pensieri e comportamenti anticonvenzionali rispetto a quelli tipici della società, replicando ciò che vede senza tenere conto del contesto sociale (non solo giapponese):

“Un’altra volta, in classe, la nostra giovane maestra fu presa da una specie di crisi di nervi e si mise a battere con violenza il registro sulla cattedra, strepitando come una pazza indemoniata. Quasi tutti i miei compagni scoppiarono a piangere terrorizzati, ma lei non si fermò e fece anche peggio. <<Maestra, ci scusi, faremo i bravi!>> <<Non ci sgridi, maestra, per favore!>>. Non serviva a niente, le suppliche dei miei compagni non sortirono alcun effetto. Mi alzai in piedi di scatto, corsi come un fulmine accanto alla cattedra e abbassai in un colpo solo la gonna e le mutandine della maestra. Lei si lasciò sfuggire un gridolino di stupore e le vennero le lacrime agli occhi, ma poi si calmò e rimase muta come una statua. L’insegnante della classe a fianco, allarmata dal gran baccano, fece irruzione nella nostra aula. Interrogata sulle ragioni del mio gesto dissi che mi ero ispirata alla scena di un film che avevo visto per caso in TV: una donna restava in silenzio mentre si faceva spogliare.”
“La ragazza del convenience store” – Murata Sayaka

“(si riferisce al figlio di sua sorella n.d.r.) Quando ho visto mio nipote in ospedale dopo la nascita, attraverso il vetro del nido, mi pareva una creatura vagamente umanoide, con quel corpicino rotondo e i capelli già folti. […] A dirla tutta non vedo perché dovrei venire a trovare Yūtaro (il nipote n.d.r.) con particolare frequenza: i neonati si assomigliano tutti, che si tratti del figlio di Miho (una ex compagna di scuola di Keiko n.d.r.) o di mio nipote.”
“La ragazza del convenience store” – Murata Sayaka

2) Focus ossessivo su un determinato oggetto (nel caso di Keiko il konbini)

Per lei il konbini, inizialmente come semplice lavoretto part-time, è diventata una ragione di vita, una zona comfort oltre la quale lei si sente sperduta e confusa. Letteralmente vive per lavorare lì: il suo comportamento, il suo corpo sono completamenti soggettati alla vita del kobini anche al di fuori di esso; nonostante sia un lavoro con un basso stipendio da non permetterle di avere un buon tenore di vita, lei si sente completamente a suo agio dalla prevedibile routine quotidiana e dalle regole esplicite e scritte del konbini, rispetto ad altri ambienti lavorativi fissi con un migliore tenore di vita ma caratterizzati da stress, da possibili imprevisti e da regole sociali non scritte:

“[…] Perché avrei dovuto lasciare il part-time da SmileMart e procurarmi un lavoro “normale”? Non riuscivo a capire. D’altra parte ero una commessa perfetta perché applicavo alla lettera le istruzioni di un manuale, ma non avevo la più pallida idea di cosa significasse essere una “persona normale” al di fuori del mio konbini, senza niente e nessuno che mi dicesse cosa fare. I miei genitori si sforzavano di essere compresivi e mi lasciavano fare, anche se il mio mondo restava ancorato al piccolo negozio di Nisshokuchō. Sentendomi in colpa, dopo la laurea e negli anni immediatamente successivi provai a sostenere dei colloqui di lavoro in alcune aziende, ma il più delle volte il mio CV, che nello spazio riservato alle esperienze lavorative non includeva altro che il part-time da SmileMart, veniva cestinato nel giro di un paio di secondi. Nelle rare occasioni in cui mi ritrovavo faccia a faccia con un impiegato di questa o quell’altra azienda, finivo col fare scena muta ed ero incapace di spiegare perché non mi fossi mai spinta oltre un semplice impiego part-time a tempo determinato. Spesso, forse perché ci passo gran parte delle mie giornate, mi capita di sognare di essere al negozio, alla cassa. Apro gli occhi e penso: “Caspita, non hanno ancora messo il prezzo sulle nuove buste di patatine!”. Oppure: “Ehi, abbiamo venduto tè caldo in bottiglia a bizzeffe, bisogna sbrigarsi con il riassortimento!”. A volte mi succede addirittura di svegliarmi in piena notte al suono della mia stessa voce: Irasshaimase! Irasshaimase! Nelle notti in cui non riesco a prendere sonno i miei pensieri corrono verso quella scatola di vetro trasparente, […] E finalmente provo un certo sollievo e mi addormento, rasserenata da quelle scene familiari e dalla musica del konbini. Il mattino dopo, come sempre, rivesto i miei panni di commessa e ritrovo in un attimo il mio tra gli ingranaggi ne mondo. Solo in quel caso, e in nessun altro, posso dire di funzionare come una persona “normale”.”
“La ragazza del convenience store” – Murata Sayaka

“Come vorrei poter spiccare il volo e tornare immediatamente nel mio konbini. Lì tutto è più semplice, l’unica cosa che conta è essere un membro della stessa squadra. Poco importa il genere sessuale, l’età e il luogo di nascita: siamo tutti uguali, indossiamo la stessa divisa. Do un’occhiata all’orologio: sono le tre di pomeriggio. A quest’ora si preleva il contante dalle casse per portarlo in banca, dove si cambiano anche le banconoe di grosso taglio. Subito dopo arriva il camion con i dolcetti, le focaccine e i bentō (contenitore per il pranzo al sacco n.d.r.) e bisogna sistemare tutto sugli scaffali. Anche se sono distante fisicamente, resto in contatto perenne con il konbini. Anche se sono lontana, non smetto mai di pensare allo SmileMart di Nisshokuchō e ai mille piccoli avvenimenti che animano quel mondo luminoso, e intanto mi accarezzo piano le ginocchia con le mani, le unghie tagliate corte per poter gestire al meglio le operazioni alla cassa.”
“La ragazza del convenience store” – Murata Sayaka

“(la sorella si rivolge a Keiko n.d.r.)<<Da quando lavori in quel konbini sei diventata ancora più strana. Persino il tuo modo di parlare è cambiato… Hai un’espressione innaturale, non sei te stessa… Quando parli sembra quasi che ti rivolga a dei clienti… […]>>”
“La ragazza del convenience store” – Murata Sayaka

Sakura

Sono una persona con una vena da graphic design, attenta a tutto ciò che riguarda l’aspetto visivo e comunicativo di qualunque cosa come un’inserzione, un sito web o il packaging di un prodotto. Sono molto curiosa nei confronti delle culture straniere, in particolar modo di quella giapponese e coreana: dagli anime ai manga, dal kpop ai kdrama, il loro mondo mi affascina e mi appassiona un sacco. Attenta anche al mio stile e seguo anche le tendenze della moda per personalizzarlo in maniera unica. Questa sono io!

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